Appuntamenti cultura / arte / spettacolo - La fantascienza nel Duemila E NEL NUOVO
MILLENNIO di PIERO NEGRI | ||
«Tutto quello
che è possibile, si farà», disse Jules Verne: se non gli scienziati,
l’hanno preso sul serio i creatori di mondi immaginari, che ora analizzano
con soddisfazione lo stato di salute del loro genere letterario. Anche in
Italia, dove da qualche anno si vive una fioritura di talenti.
«Trenta e più anni fa, quando l’uomo posò il piede sulla Luna, ci si faceva la stessa domanda: che cosa accadrà ora alla fantascienza, quali viaggi immaginerà? Non mi stupisce che ora che siamo arrivati al Duemila, ci si chieda che cosa cambierà nella letteratura che prova a raccontare il futuro. Bene, sono certo che questo genere letterario si svilupperà come ha sempre fatto. Reinventandosi».
Giuseppe Lippi è il curatore di Urania, la più importante collana italiana esclusivamente dedicata alla fantascienza. Per quanto, dunque, il suo possa sembrare un ottimismo d’ufficio, ci sono dati, fatti, numeri e situazioni che lo rendono più che credibile. Intanto, come spiega ancora Lippi, gli ultimi anni del Novecento hanno ribaltato il rapporto tra il pubblico e la fantascienza italiana: se prima veniva disprezzata, oggi ha più successo di quella d’importazione: «Quando ho iniziato a curare Urania, nel 1989, gli italiani non venivano praticamente pubblicati. Si arrivava all’assurdo che un autore straniero con un nome italiano finiva per vendere meno copie di uno straniero Doc. Da quando è comparso Valerio Evangelisti, e dopo di lui un gruppo di autori italiani di buon livello, tutto è cambiato». Valerio Evangelisti ha incontrato il suo personaggio più celebre, l’inquisitore Nicolas Eymerich, nel corso della sua vita precedente, quella di storico. «Eymerich», dice, «è realmente esistito: è l’autore di un manuale per inquisitori. Per farlo diventare personaggio, ho dovuto incontrare uno psicoterapeuta, che mi parlò a lungo del carattere schizoide. Riconobbi nelle sue parole alcuni tratti della mia personalità, e capii che caratterizzando Eymerich in quel modo avrei favorito l’identificazione del lettore: la freddezza, l’assenza di passioni, sono uno dei grandi mali del nostro mondo. Scrissi un racconto e lo presentai al Premio Urania. Me lo bocciarono: troppo superiore come linguaggio alla media dei concorrenti. Ne scrissi un altro l’anno dopo e me lo bocciarono: non c’era fantascienza a sufficienza. Aggiunsi un po’ di astronavi e al terzo tentativo, finalmente, vinsi il premio».
Era il 1994, l’anno zero della nuova fantascienza all’italiana. Oggi, sei anni dopo, il panorama nazionale è piuttosto variegato. Molti, come Evangelisti, alla fantascienza mescolano generi diversi (il romanzo storico, il romanzo gotico) in un percorso narrativo che tocca passato, presente e futuro con libertà e un certo evidente gusto nel raccontare. Non solo, però: «Segnalerei», dice Lippi, «Franco Ricciardiello, che in Ai margini del caos reinventa la storia del nazismo, oppure Massimo Mongai, che ha inventato un personaggio, Turturro, che fa il cuoco sulle astronavi, oppure, ancora, Nicoletta Vallorani, che ha scritto due polizieschi di genere cyberpunk ambientati a Milano. Anche Claudio Asciuti, in La notte dei pitagorici, ha scelto una città italiana, nel suo caso Genova, per un racconto dagli accenti grotteschi. Luca Masali, infine, nei romanzi I biplani di D’Annunzio e La perla alla fine del mondo parte da fatti e personaggi dell’epoca a cavallo tra Ottocento e Novecento per arrivare a mondi e epoche assolutamente sorprendenti». «A me interessa l’esplorazione letteraria del divenire», dice Masali, «e dunque la data del 2000 mi affascina come simbolo di un passaggio epocale. In La perla alla fine del mondo, per esempio, si immagina che nel nuovo millennio il baricentro culturale del mondo si sposti verso l’Islam e che al tempo stesso l’Islam si laicizzi e si occidentalizzi. Dico questo anche per sottolineare come, a differenza degli autori americani, noi europei tendiamo ad una fantascienza che sia una consapevole metafora politica. Fin dai tempi di H.G. Wells, che nella Guerra dei mondi raccontò la conquista dell’India da parte dell’esercito inglese, e nella Macchina del tempo trasfigurò la nascita del movimento operaio». da George Lucas uscito esattamente cento anni dopo, nel 1999. C’è qualcosa di nuovo, a ben pensarci, nel modo in cui Masali, Evangelisti e tutti gli altri, non solo gli italiani, guardano al loro lavoro creativo. Con la consapevolezza di avere intorno a sé molti steccati in meno (Philip K. Dick e James G. Ballard, per fare due nomi, sono considerati grandi scrittori senza ulteriori etichette) e il gusto di fare letteratura di genere: «Come altri», dice Evangelisti, «vengo spesso pubblicato in collane non di fantascienza. Può fare piacere, ma il prezzo da pagare è il tradimento del genere nel quale sono cresciuto. Credo però che la fantascienza avrà un futuro solo se riuscirà a farsi contaminare da altri stili: stiamo andando tutti verso una letteratura senza etichette». «La letteratura "bianca"», dice Masali, «mi sembra incapace di raccontare il nostro tempo. Spesso si va sulla psicologia, ma quasi sempre i personaggi mi sembrano stereotipati. La fantascienza, paradossalmente, non rifiuta invece la sfida del 2000, dei temi di discussione che incontriamo tutti i giorni. Faccio un esempio: recentemente mi è capitato di assistere a una tavola rotonda sui cambiamenti che le nuove tecnologie potranno apportare al nostro corpo: dalla clonazione a tutto il resto. I relatori concordavano nel dire che manca una cultura per affrontare questi cambiamenti. Ma come, ho pensato, la fantascienza di questi temi parla da tempo. Forse siamo ancora troppo ghettizzati per influenzare il senso comune».
«La fantascienza», dice Evangelisti, «non si occupa di immaginare nel dettaglio come saranno le invenzioni del futuro, ma parla degli stati d’animo della gente di fronte ai cambiamenti. È questo che le dà vitalità, che le permetterà di affrontare il nuovo millennio con fiducia nei propri mezzi. Le previsioni sbagliate o azzeccate contano fino ad un certo punto: il racconto di H.G. Wells nel quale si preannuncia la bomba atomica è uno dei più brutti che lui abbia mai scritto». «A partire dagli anni Settanta», dice Lippi, «il mercato si è allargato significativamente: il pubblico di appassionati probabilmente si è stabilizzato, ma anche in Italia ora c’è un certo numero di lettori che sono disponibili a leggere racconti e romanzi di genere a condizione che siano ben scritti e che non siano proposti all’interno di collane specialistiche. Oggi la fantascienza in senso stretto è suddivisa in un’infinità di sottogeneri. Perfino l’avventura spaziale classica, che sembrava passata di moda, ha riacquistato spessore e interesse». «Tutto quello che è possibile, si farà», aveva pronosticato Jules Verne un centinaio d’anni fa. A guardare da vicino, nell’anno 2000, la letteratura che proprio lui e i suoi romanzi fecero nascere, c’è da pensare che avesse proprio ragione. Piero
Negri
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