Luca Masali sta alla letteratura fantastica come
The Voice alla storia della musica: a parte Evangelisti (che è
Mozart più Beethoven del fantastico), Masali è la voce più potente,
magnetica, avvolgente del romanzo fantastico italiano. Impossibile
non farsi catturare dalle sue trame perfette e fluviali, organizzate
come meccanismi a orologeria e profuse con una generosità
d'inventiva impressionante. Infatti più di trentamila lettori si
fecero catturare dai suoi I Biplani di D'Annunzio e
La perla alla fine del mondo, probabilmente gli
Urania più memorabili degli anni Novanta. Quei trentamila italiani
scoprirono una sorta di genio affabulatorio che, peraltro, ci vedeva
giusto - se il Secondo Sultanato che costituisce il maelstrom
di un oscuro futuro, nella Perla, incarnava
alla perfezione le più fosche angosce che attualmente perseguitano
il signor Bush e i suoi tecnocratici compagni di ventura.
Dopo un
periodo di assenza dalle librerie, che ha scatenato letteralmente i
fan di Masali (i quali hanno tempestato di messaggi, in questi anni,
ogni newsgroup letterario), è annunciata per giugno l'uscita del
nuovo libro di questo esploratore dell'ucronia, del mistero e del
delirio: è L'inglesina in soffitta (Sironi), titolo
rétro e inquietante, storia nera e grottesca di un intrico
spionistico e bellico, che prescinde dal fantasy (si fa per dire...)
per gettarsi in un turbine della storia. Anticipiamo una
particolarissima sinossi de L'inglesina di Masali
(rubandola dal suo sito ufficiale), riproduciamo le schede dei due
precedenti romanzi (per gli sfortunati che non li hanno letti) e
riprendiamo da Delos un'intervista allo stesso Masali. Perché a
giugno assisteremo al ritorno dell'eroe: la fantasia più scatenata
reperibile sui banconi di una libreria.
'L'inglesina in soffitta':
sinossi
di Luca Masali
Ortelli Raffaele
Classe Quarta
1 settembre 1938
XVI Anno dell’Era Fascista
Tema: Le mie
vacanze
Svolgimento
Forse dovrei cominciare a
raccontare quello che è successo due anni fa, quando quell’aeroplano
è cascato nel lago con dentro quella roba segreta, roba di spie. E
credevano tutti che era finito nel Lago Maggiore e invece era
precipitato proprio vicino a casa mia, a Cadenabbia, nel lago di
Como, ma era notte e nessuno se ne era accorto. Ma visto che il tema
è sulle mie vacanze, dell’aeroplano magari vi racconterò un’altra
volta. Cominciamo da me. Prima che succedesse tutto quel fattaccio,
l’estate del 1938 era iniziata bene. Avevo undici anni appena
compiuti. Coi frutti di un anno di lavoretti dopo la scuola mi ero
fatto la bici, una meravigliosa Bianchi con le manopole di corno; i
soldi per il cinematografo riuscivo a metterli insieme quasi sempre,
e soprattutto… Beh, soprattutto Lei era tornata, bella da
togliere il fiato.
L'Inglesina
Glory Anne era scesa dal battello! Il guaio era
che il Poldo era arrivato prima all’imbarcadero.
La tragedia era
che teneva strettamente nelle manacce sporche le manopole di corno
della mia Bianchi. L’orrore era che chiacchierava con Glory Anne, la
figlia dell’ambasciatore inglese a Roma, come tutti gli anni in
villeggiatura in quel ramo del lago di Como che volge a mezzanotte
(che quindi, per chi avesse letto il romanzo di quello là di Milano,
sarebbe l’altro ramo). Anche per Glory Anne l’estate cominciava
bene: aveva ritrovato i suoi amici, me e il Poldo. Per godersi le
vacanze doveva solo cercare di tenersi alla larga dall’orribilosa,
Charlotte McNeal, la bambinaia che il padre le aveva affibbiato; una
donna terribile, c’era perfino chi diceva che in realtà era un
colonnello dell’Mi5, il controspionaggio dell’Impero Britannico.
Io invece dovevo cercare di tenere lontano il Poldo dalla Glory
Anne. Quello lì è pazzo, ha degli anelli che fanno un male cane
quando tira i pugni. Il Poldo fa il gradasso solo perché ha la
divisa dei balilla! Ma, tanto, resta scemo lo stesso. L'hanno anche
bocciato. Certo che se la Glory Anne se ne va via con quello lì, la
giornata è rovinata. Non resta che andare a trovare il Marchion, il
vecchio mastro d’ascia che ha sempre fatto barche per tutti, anche
per i contrabbandieri. E però adesso che è vecchio dev’essere anche
un po’ picchiato in testa: se ne sta sempre su in soffitta a farsi
la barca, al buio come un pipistrello. Lui dice che è una barca
speciale, che lo farà viaggiare tra i mondi.
Ma non come il
cannone di Giulio Verne. Lui dice che vuole viaggiare tra i mondi
che abbiamo in testa. “Perché voi capite le barche e non le persone,
vero?” gli aveva chiesto una volta la Glory Anne. Chissà cosa voleva
dire. Ma il Marchion di barche ne sa davvero un sacco, ne sa più di
un professore.
E meno male.
La situazione precipita
Perché poi è successo
quel fatto brutto. Il Raù, il vecchio barcaiolo, è stato trovato
ammazzato nella sua barca. Con due fucilate. I carabinieri hanno
detto che ad ammazzarlo era stato il papà del Poldo, durante una
lite tra contrabbandieri. E la barca dove l’avevano ammazzato era
proprio una barca da sfrusà, sì insomma, quelle che usano i
contrabbandieri. E l’aveva fatta proprio il Marchion, con le sue
mani. Così i carabinieri sono andati a dar fastidio anche a lui. E
lui che di fastidi non ne voleva si è trovato a dover capire quello
che era successo per davvero. Un po’ per togliersi di dosso i
carabinieri, e poi anche per aiutare il papà del Poldo, che visto
che non poteva pagare, il giudice ci aveva dato un avvocato del
lella, insomma, mica uno bravo, così finiva che veniva fucilato
prima di Natale. Poi è arrivato col battello quel giornalista da
Roma che scriveva sul giornale del Mussolini, e si è sistemato
all’Hotel Bretagna, lo stesso della Glory Anne e dove mia mamma fa
le pulizie per prendere qualche soldo. In casa non ce ne sono mai da
quando mio papà se ne è andato via e nessuno l’ha più visto. Nemmeno
io. Lo odio, perché non mi ha portato con lui in Svizzera, dove il
cioccolato è per terra e basta chinarsi a raccoglierlo. La Glory mi
ha detto che il giornalista è entrato nella sua camera, e ha letto
il suo diario.Io la prendevo in giro, le dicevo “figurati, Glory,
cosa gliene importa a uno grande del diario di una bambina”, ma lei
insisteva che era stato lui. Allora io ho chiesto per piacere alla
mamma di vedere una cosa nella stanza di Glory Anne quando non c’era
nessuno, e lei l’ha fatto ma qualcuno le ha dato una botta in testa
ed è finita in ospedale giù a Como, per un sacco di tempo. Il
Marchion poi è andato a parlare all’avvocato del papà del Poldo,
perché c’era qualcosa che non lo convinceva nel modo in cui i
carabinieri avevano trovato il cadavere morto del Raù. Quello che
non gli sembrava giusto era una roba di barche, io adesso non mi
ricordo, ma se c’entrano le barche c’è da crederci al Marchion.
Quello lì sarà analfabeta, ma di barche ne sa una più del diavolo.
Solo che l’avvocato non ci ha dato retta, e per di più le Camicie
Nere hanno picchiato il Marchion perché era andato dall’avvocato. Ma
che ce ne importa alle Camicie Nere di quello che fa o non fa il
Marchion? E poi è successo anche che la McNeal, la bambinaia di
Glory Anne, si è messa a filare col giornalista di Roma, e la Glory
era preoccupata perché non le piaceva proprio quello lì. Così noi
abbiamo fatto la Polizia Segreta di Cadenabbia, nella soffitta del
Marchion: io, il Poldo, la Glory Anne e il Marchion. E abbiamo fatto
le indagini segrete, come i carabinieri. Siamo andati a vedere delle
barche che il Marchion diceva che facevano cose strane nel lago di
notte, barche di una villa dove non doveva esserci nessuno e invece
qualcuno c’era.
Adesso però ho finito il foglio, così non posso più raccontare
cos’è successo poi.
'I Biplani di D'Annunzio'
La Grande guerra poteva essere
combattuta per la seconda volta. In un altro tempo.
Una notte,
durante la Prima Guerra Mondiale, un bombardiere austriaco viene
abbattuto sulla laguna di Venezia.
L’unico a salvarsi è il
pilota, Matteo Campini. E’ di Trieste, città di lingua e cultura
italiana che faceva parte dell’Impero Austroungarico. Uscito
malconcio dai rottami dell’aereo, viene salvato da un’ affascinante
e misteriosa ragazza, Flavia Manin. Ben presto il pilota scopre di
essere una pedina di una terribile macchinazione che parte dal
futuro, dalla Bosnia Erzegovina dilaniata dalla guerra civile degli
anni ‘90. Un gruppo di terroristi serbo bosniaci sta infatti
tentando di cambiare la storia attraverso i viaggi nel
tempo.
Questa scoperta porterà il pilota a mettere in discussione
il suo ruolo di soldato per abbracciare l’ideale dell’unità europea
e della democratizzazione dell’Austria ungheria.
Al fianco della
sua salvatrice, e con l’aiuto di personaggi storici come il poeta
Gabriele D’Annunzio, Campini lotterà contro le forze del male,
capeggiate da Hermann Göring, all’epoca pilota di caccia nella
squadriglia del Barone Rosso. L’ultima, decisiva battaglia dovrà
essere combattuta nel nostro tempo. Il conflitto sarà deciso anche
grazie alle risorse di Internet. Verranno finalmente alla luce i
veri mandanti, legati ad un intreccio di affari e politica che ha
come centro una Russia nelle mani degli ultra nazionalisti. La
chiave fantapolitica è riassunta verso la fine del
romanzo:
"Hanno cercato di strumentalizzare i tedeschi con la
balla del Terzo Reich, in modo da manovrarli come burattini. Il loro
vero interesse è quello di impedire la formazione della Jugoslavia,
e di occupare tutta quanta la Bosnia Erzegovina"
I Biplani di
D’Annunzio è un romanzo aeronautico di guerra e fantapolitica. Ma è
anche una tormentata storia d’amore e incomprensione tra una
spigliata ragazza moderna e un gentiluomo della Belle
Époque.
[A maggio 2002, i diritti sono passati da Mondadori a
Todaro Editore di Lugano, che li ripropone in libreria in
un'edizione riveduta e corretta, con un nuovo finale, una trentina
di pagine più lunga della versione pubblicata in
Urania]
'La perla alla fine del mondo'
Primavera del 1924. Al
Casinò di Montecarlo le serate si trascorrono tra orchestrine
charleston, cocktail dal sapore esotico e meravigliose
spogliarelliste che giocano col potenziale erotico di un oriente
arabeggiante tanto mitizzato quanto poco conosciuto: il favoloso
Nordfrica letterario di Pierre Loti e Benoit.
André
Citroën, magnate della nascente industria automobilistica, ha
creduto di sfruttare la moda dell’esotico a scopi pubblicitari
organizzando raid trans-sahariani a bordo delle
autochenille, automobili cingolate derivate da torpedo di
serie.
Durante i viaggi una di queste, lo Scarabée d’Or,
scompare misteriosamente. Louis Renault sfrutta l’accaduto per
costringere Citroën ad accettare una pericolosa scommessa: questa
volta sarà lui in persona a dover attraversare il deserto. La
mancanza di tempo lo costringe l’industriale a raccogliere un
equipaggio di fortuna tra i dipendenti del Casinò. Con lui
partiranno Matteo Campini, ex aviatore in profonda crisi depressiva,
Corinne Dufour, stupenda spogliarellista laureata in lingua araba e
Monsieur Raoul, che ha trasformato la preparazione dei
cocktail in un’arte maggiore.
Intanto, in un futuro remoto, si
conduce una dura lotta di potere tra il Secondo Sultanato ottomano,
diventato superpotenza egemone, e i suoi oppositori: le Tetradi,
terroriste sciite che hanno sostituito lo chador persiano con
proiettori di luce negativa che le rende simili a coni di tenebra e
i CyberDervisci, monaci guerrieri che hanno saputo
armonizzare l’insegnamento del Corano con l’alta tecnologia
informatica.
Tutte le fazioni in lotta cercano di svelare il
mistero del corpo di un uomo trovato mummificato nell’Algeria
Centrale, che ha nel sangue la chiave per scoprire il principio
della vita eterna. È Il cadavere del Dodicesimo Imam, il Signore del
Tempo, il Messia nascosto che secondo la dottrina Sciita si
manifesterà solo per annunciare la fine del mondo. La soluzione
andrà cercata nel 1924, in un allucinante fortino della Legione
Straniera costruito all’interno di una grotta cinta da antiche mura
volute da Alessandro Magno. I legionari, che si sono autoproclamati
Genti di Gog e Magog, hanno abbracciato un’antica eresia sciita e
adorano una perla nascosta in un mostruoso mollusco che vive in un
lago sotterraneo.
Intervista a Luca Masali
di
Luigi Pachì
[da Delos]
Ci racconti, brevemente, la storia di La perla
alla fine del mondo?
La storia, detta in due
parole, è questa: André Citroën, il fondatore dell'omonima fabbrica
di automobili, viene costretto dall'amico e rivale Louis Renault ad
accettare una pericolosa scommessa: deve condurre una spedizione di
due automobili cingolate da Montecarlo alle sorgenti del Nilo, sul
lago Vittoria. A corto di tempo, il milionario francese deve
raccogliere in fretta e furia l'equipaggio tra i dipendenti del
Casinò. Con lui partiranno Raoul, l'uomo che ha fatto dell'arte
della preparazione dei cocktail un'arte maggiore; Corinne,
un'affascinante spogliarellista studentessa di lettere arabe e una
nostra vecchia conoscenza: Matteo Campini, che la crisi economica
seguita alla fine della Grande Guerra ha costretto a reinventarsi
come cameriere.
Il viaggio di questa spedizione, suppongo, non sarà tutto
rose e fiori.
Già! Durante il viaggio, nel cuore dell'Ahaggar, inesplorata e
selvaggia regione del Sahara algerino, la spedizione viene travolta
dalla fine del mondo in chiave islamica.
Dove hai trovato lo spunto per scrivere un romanzo di
fantascienza pensando ad un personaggio realmente esistito e noto,
quale Citroën?
L'idea di scrivere una storia di fantascienza con André Citroën
protagonista è nata per caso, leggendo un articolo su Storia
Illustrata dove si narravano le folli imprese del milionario
parigino al Casinò...
Quanto c'è di vero nella tuo romanzo?
La favolosa vincita di dieci milioni di franchi che è narrata nei
primi capitoli del romanzo è vera, anche se non è avvenuta a
Montecarlo ma a Parigi. Come vera è la favolosa mancia lasciata ai
croupier: una Citroën 5CV a testa. Il personaggio mi affascinava per
tanti aspetti. Chi ha avuto vent'anni negli anni Ottanta e una "Due
Cavalli" per andare ad Amsterdam a fumare le canne mi può capire. Ho
pensato che sarebbe stato divertente far incontrare Citroën con...
mio nonno! Già, il nonno. Raoul, si chiamava.
Davvero curioso. Raccontaci qualcosa in più.
Durante i favolosi anni Venti il nonno girava il mondo come
Maitre barman nei più grandi Casinò d'Europa, soprattutto a
Montecarlo. E fu proprio nel principato di Monaco che Raoul inventò
il cocktail Grande Corniche, lo steso che delizia Citroën
alla vigilia della scommessa. La ricetta è molto semplice: una
misura di Cointreau, una di Pernod, una di gin e un poco di succo di
limone. Mescolare con cura e servire con ghiaccio. A piacere,
aggiungere una ciliegina invecchiata dieci anni nel cognac.
[...] E' vero che Citroën in gioventù fu un amante dei
romanzi di Verne?
Sì, Citroën era da ragazzo un attento lettore di Verne. Nelle sue
memorie, André scrive: "Non ho mai dimenticato l'emozione di quando
lessi Vingt mille lieues sous la mer. Il tenebroso
capitano Nemo mi insegnò che non c'è niente di più poetico del
mistero rivelato dalle scoperte scientifiche e tecniche. Il
progresso deve poter organizzare l'universo e cambiarne la vita. Più
tardi lessi Robur le Conquérant, Les Indies
noires, Les Cinq Cents Millions de la Bégum
e tanti altri... Collezionavo con passione i grossi volumi
rossi e oro pubblicati da Hetzel, che ben meritavano il titolo di
Voyages extraordinaries. In Jules Verne ho
ritrovato il padre che avevo perso da bambino". Amare Verne,
dopotutto, è l'unica cosa che Citroën e io abbiamo in comune.
Del resto uno scrittore deve conoscere perfettamente il
suo personaggio.
E' vero, l'autore e il suo personaggio devono trovare un
linguaggio comune, per potersi capire e lavorare insieme nella
costruzione di un romanzo. Ecco perché nella Perla
c'è così tanto di Verne. Non solo il Verne del Giro
del Mondo in ottanta giorni, con la sua scommessa che apre
i giochi.
Per gli amanti delle citazioni ci sarà qualche perla nel
tuo ultimo libro?
Chi ama cercare le citazioni ci troverà le suggestioni tardo
vittoriane della terra cava di Viaggio al centro della
Terra, le atmosfere di I figli del capitano Grant
e, naturalmente, i mostri marini di Ventimila leghe
sotto i mari. Sembrerà strano trovare echi del capolavoro
del padre della fantascienza europea in un libro ambientato nel
deserto, che è l'esatto opposto dello scenario in cui si muove
l'inquietante massa ferrosa del Nautilus. Ma è proprio dal
matrimonio alchemico del carapace metallico del sottomarino con la
piovra gigante di tanti romanzi d'avventura che nasce il mollusco
mutante che cela la Perla, chiave del mistero.
Ci puoi dire qualcosa in più sulla Perla e sulla sua
divinità primordiale?
La perla rappresenta davvero uno dei simboli più potenti della
setta sciita Ahl-i haqq, la gente della Verità. Una comunità attiva
soprattutto in Persia occidentale, la cui dispersione rende
difficile lo studio della dottrina delle diverse sette nate al suo
interno. L'idea di base è il susseguirsi di sette manifestazioni
divine accompagnate ciascuna da cinque angeli, uno dei quali
femmina. La divinità primordiale è immaginata nascosta in una perla,
che nel romanzo diventa la mostruosa Perla alla Fine del
mondo.
Caso più unico che raro nell'universo islamico, essi
ammettono anche una forma di metempsicosi.
E' vero, l'anima passa attraverso mille e una reincarnazione,
durante le quali l'uomo riceve il premio o il castigo che gli
spetta. Attendono il ritorno del Signore del Tempo, che al suo
manifestarsi esaudirà i desideri dei fedeli. Naturalmente i fedeli
Ahl-i haqq sono persone perbene, per nulla simili ai legionari che
nel romanzo hanno fatte proprie le parti più esteriori del rito in
modo da fare i comodi loro.
Cosa ti ha spinto ha scrivere di religioni e culture così
distanti dalla nostra?
Vedi, se in quella feroce età dell'innocenza che era la Belle
époque era considerato normale non sapere un fico secco sulle
culture extraeuropee, oggi per fortuna lo stato di ignoranza
animalesca non è più un dovere sociale. Durante i tre anni che ho
impiegato a scrivere La perla alla fine del mondo ho trasformato la
mia casa in una specie di biblioteca islamica: questo è anche un
romanzo "sull'ermeneutica della molteciplità dei sensi del Corano",
come dice a un certo punto un personaggio proveniente da un remoto
futuro dominato dal Secondo Sultanato ottomano. La cultura dei
nostri vicini dell'altra sponda del mediterraneo in Italia è troppo
spesso un'illustre sconosciuta, e viene avvicinata solo come
conseguenza dei flussi migratori che interessano la penisola. Ciò
provoca una conoscenza superficiale, e per di più viziata dal
pregiudizio culturale e purtroppo anche da un certo razzismo,
soprattutto per quanto riguarda il presunto "antifemminismo" che a
torto si attribuisce all'insegnamento di Maometto.
Puoi essere più preciso per i nostri
lettori?
In realtà questa è una sciocchezza, naturalmente: il problema
della condizione femminile nei Paesi islamici, anche quando trae
giustificazione legali da interpretazioni di comodo della dottrina,
dipende da fattori ben più complessi che riguardano lo sviluppo
storico, sociale e politico dei Paesi arabi in senso lato, dai danni
del colonialismo europeo e dal rifiuto delle politiche predatorie
dei Paesi industrializzati che troppo spesso si traduce
nell'intolleranza culturale dei movimenti integralisti. Per questo i
personaggi femminili del "versante islamico" del romanzo non sono
per nulla donne sottomesse. Ma non per questo meno profondamente
islamiche, nel bene e nel male.
Questa visione si
protrae nel tuo romanzo anche avanti nel tempo.
Nel futuro agisce una setta segreta di fanatiche sciite, le
"Tetradi", quattro donne sposate ad Azrarel, l'angelo della morte.
Le zelote hanno sostituito il tradizionale chador persiano in un
cono di luce negativa, che le trasforma in coni di tenebra dalla
violenza allucinante.
Simbolicamente cosa rappresenta?
Il simbolo dell'incapacità europea di penetrare gli aspetti più
profondi dell'Islam. Campini ha almeno un merito: non sa capire ma
per lo meno si astiene dal giudicare. Quanto a me, non pretendo
certo di far giustizia della ricchezza culturale altrui attraverso
un romanzo di fantascienza, ma ho cercato nei limiti del possibile
di offrire al lettore la visione dell'Islam come un mondo,
certamente alieno, ma anche interessante e degno della massima
considerazione.
Le citazioni che troviamo nel testo sono tutte
reali?
Mi sono sforzato, anche con l'aiuto di Imam che operano in Italia
(che per comprensibili ragioni non desiderano essere citati, ma a
loro va il mio sentito ringraziamento), di presentare con la massima
serietà la dottrina coranica, pur con le inevitabili semplificazioni
che ciò comporta. Come conseguenza, tutte le citazioni dei
personaggi sono reali, come reali sono le dispute teologiche che qua
e là appaiono nel dipanarsi della storia. Già, la storia. Dopo la
pubblicazione del mio primo romanzo, I biplani di
D'Annunzio, pubblicato tempo fa nella collana Urania, ho
ricevuto molte lettere che chiedevano dove finissero gli eventi
della storia reale e dove cominciasse la fantasia. Nel romanzo,
molto di quello che dice Citroën sono citazioni di lui
medesimo...