Primavera
del 1924. Al
Casinò di Montecarlo le serate si trascorrono tra
orchestrine charleston, cocktail dal sapore esotico e meravigliose
spogliarelliste che giocano col potenziale erotico di un oriente
arabeggiante tanto mitizzato quanto poco conosciuto: il favoloso
Nordfrica letterario di Pierre Loti e Benoit.
André Citroën, magnate della nascente industria
automobilistica, ha creduto di sfruttare la moda dell’esotico
a scopi pubblicitari organizzando raid trans-sahariani a bordo delle
autochenille, automobili cingolate derivate da torpedo di serie.
Durante i viaggi una di queste, lo Scarabée d’Or,
scompare misteriosamente. Louis Renault sfrutta l’accaduto
per costringere Citroën ad accettare una pericolosa scommessa:
questa volta sarà lui in persona a dover attraversare il
deserto. La mancanza di tempo lo costringe l’industriale a
raccogliere un equipaggio di fortuna tra i dipendenti del
Casinò. Con lui partiranno Matteo Campini, ex aviatore in
profonda crisi depressiva, Corinne Dufour, stupenda spogliarellista
laureata in lingua araba e Monsieur Raoul, che ha trasformato la
preparazione dei cocktail in un’arte maggiore.
Intanto, in un futuro remoto, si conduce una dura lotta di potere tra
il Secondo Sultanato ottomano, diventato superpotenza egemone, e i suoi
oppositori: le Tetradi, terroriste sciite che hanno sostituito lo
chador persiano con proiettori di luce negativa che le rende simili a
coni di tenebra e i CyberDervisci, monaci guerrieri che hanno saputo
armonizzare l’insegnamento del Corano con l’alta
tecnologia informatica.
Tutte le fazioni in lotta cercano di svelare il mistero del corpo di un
uomo trovato mummificato nell’Algeria Centrale, che ha nel
sangue la chiave per scoprire il principio della vita eterna.
È Il cadavere del Dodicesimo Imam, il Signore del Tempo, il
Messia nascosto che secondo la dottrina Sciita si
manifesterà solo per annunciare la fine del mondo. La
soluzione andrà cercata nel 1924, in un allucinante fortino
della Legione Straniera costruito all’interno di una grotta
cinta da antiche mura volute da Alessandro Magno. I legionari, che si
sono autoproclamati Genti di Gog e Magog, hanno abbracciato
un’antica eresia sciita e adorano una perla nascosta in un
mostruoso mollusco che vive in un lago sotterraneo..
PREFAZIONE
DI VALERIO EVANGELISTI ALL'EDIZIONE SPAGNOLA
L’apparizione
di Luca Masali sulla scena della narrativa fantastica italiana
è stata di quelle che restano nella memoria. Nel 1996 il suo
primo romanzo, I biplani di D’Annunzio, vince il Premio
Urania, a quei tempi il più importante riconoscimento
riservato agli scrittori italiani di fantascienza. Il successo
è travolgente: oltre 30.000 copie vendute in un mese, una
quantità di recensioni positive, una quasi immediata
traduzione in francese. E’ il momento d’oro della
fantascienza scritta in Italia: un numero limitato ma combattivo di
autori della penisola vende molto più della maggior parte
degli scrittori anglosassoni, inclusi i grossi calibri.
“Naturalmente, da quel momento tutti attendono al varco Luca
Masali, per vedere se sopravviverà alla sua seconda prova
narrativa. Non solo sopravvive, ma conferma la sua bravura. La perla
alla fine del mondo, uscito nel 1999, è addirittura migliore
de I biplani di D’Annunzio, e mescola con altrettanta perizia
elementi storici, squarci di futuro, una trama solidissima e
riflessioni tutt’altro che banali su problematiche di fondo
della contemporaneità.
Ormai questo scrittore del tutto anomalo, di professione giornalista
informatico ma con un passato di egittologo, occupa un posto centrale
nella narrativa fantastica italiana ed europea. E quando la breve
primavera della fantascienza made in Italy inizia a tramontare,
soffocata da troppi testi d’accatto e d’imitazione,
Luca Masali non viene nemmeno lambito dalla crisi. Resta circondato da
lettori affezionatissimi che gli chiedono nuovi romanzi (hanno avuto
finora solo racconti, ma di tale qualità che non si possono
lamentare troppo), riceve premi internazionali, continua a ottenere la
stima della critica. Un successo che dura ancora oggi.
Ma a cosa si deve la fortuna di Masali, se si può chiamare
“fortuna” un fenomeno così poco
effimero? Se si vuole comprendere la qualità della sua
prosa, bisogna anzitutto rifarsi alla sua concezione della
fantascienza, da lui vista come letteratura del divenire –
cioè della trasformazione, di ciò che di mobile
vi è in un’epoca e slitta verso
qualcos’altro. E’ una definizione su cui occorre
riflettere, perché nasce da un’opposizione: quella
a chi, banalmente, qualifica la SF come letteratura incentrata
sull’ “avvenire” (da cui
l’obsoleta definizione di “narrativa
avveniristica”, cara a certe polverose enciclopedie).
Tra “avvenire” e “divenire”
c’è una bella differenza. Nel primo termine,
l’attenzione è tutta spostata su ciò
che deve ancora accadere; nel secondo, una buona fetta di presente
è legata a una buona fetta di futuro. Se si tiene conto di
questo, si capisce come mai Masali aggreghi alla fantascienza scrittori
che normalmente non le sono riferiti, come per esempio Mikhail
Bulgakov. In Bulgakov il tasso di scienza presente è incerto
e non determinante; il tasso di divenire è altissimo. Cuore
di cane, Le uova fatali che fanno? Portano alle estreme conseguenze i
caratteri della società in cui viveva l’autore, e
cioè la Russia post-rivoluzionaria, spostandoli di un poco
nel futuro. Lo stesso che prima di lui, o con lui, avevano fatto, a
passi molto più lunghi, ?apek e Zamjatin; lo stesso che
faranno Orwell e Huxley.
Se prendiamo il primo romanzo di Masali, I biplani di
D’Annunzio, scopriamo che ha per tema l’Europa.
Nientemeno. Soprattutto l’Europa balcanica, di cui,
attraverso pagine brillanti e dalla scorrevolezza ingannevole, sono
indagati passato, crisi attuali e possibili sviluppi delle stesse.
Mentre in questo La perla alla fine del mondo è di scena la
civiltà musulmana, con la varietà delle sue
espressioni sotto la compattezza apparente, nonché la
difficoltà a comprenderla da parte di altre
civiltà. Credo di non dovere sottolineare quanto il tema sia
attuale.
Il tutto affidato a una prosa che rifugge tanto dalle involuzioni
quanto dal pistolotto riepilogativo a metà pagina. Leggere
Masali è un po’ come danzare, nello specifico un
charleston. La scrittura è leggera, fluida, accattivante; i
toni da vaudeville sono frequenti.
Impossibile annoiarsi, ma anche impossibile scorrere le righe senza
percepire alcunché. Non solo gli ambienti, ma anche le
atmosfere sono descritti magnificamente, e catturano, immergono,
schivando tuttavia il rischio di impantanare. L’effimero di
superficie ha ancoraggi ben concreti e una base quanto mai stabile.
Forse quella base è costituita dalla precisione dei
dettagli. Che descriva il deserto o un grande albergo, un aereo o
un’automobile, è subito palese che Masali sa di
cosa parla. Si direbbe che sia competente in tutto, che ogni
particolare sia frutto di uno studio preciso (e probabilmente lo
è). Solo che – miracolo! – Masali riesce
a essere puntiglioso senza puntiglio, competente senza accademismo. Ci
si lascia prendere per mano e trascinare da qualcuno che ne sa
più di noi, ma fortunatamente è privo di
vocazione pedagogica o di spocchia.
Forse non è un caso se un altro dei maestri che Masali ama
citare, nel proprio pantheon personale della fantascienza eclettica,
è Jules Verne. Non quello noiosetto di Cinque settimane in
pallone, suppongo, bensì quello della maturità,
che coniuga il fascino dell’avventura con la perfezione dei
dettagli, anche quando servono a descrivere macchine del tutto
fantastiche. Esploratore anche lui del divenire, poiché
estrapola e proietta, e con ciò ci dà la
sensazione precisa di epoche in evoluzione – dove non le
epoche, ma l’evoluzione, sono la materia del narrare.
Non occorre un lettore particolarmente attento per apprezzare Luca
Masali. Se però il fruitore di ciò che scrive ha
il gusto delle sfumature, sorseggerà la sua prosa come si
assapora il gusto forte dello champagne di marca, sotto il velo
solleticante delle bollicine..